Benvenuti su www.kamapuaa.it,
il terreno virtuale dove Kamapua’a Marijuana Light Shop, la nostra azienda agricola, ha il piacere di presentarvi il meglio del nostro raccolto.
La nostra passione: le Infiorescenze di Cannabis Sativa Light.
Seguite il Cinghiale…
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Kamapua’a, The Hog Child
Kamapua’a, The Hog Child.
Questo nome viene da molto lontano, apparteneva a un giovane uomo, destinato a essere un Semidio, protettore dei terreni coltivati, delle cascate e dell’Oceano, da cui regna ancora oggi.
Sua madre, Hina, era la giovane sposa del vecchio capo Olopana; l’uomo, che da sempre viveva nel sospetto del tradimento, alla nascita del figlio lo rinnegò.
Kamapua’a era un ragazzo dalla bellezza disarmante, la sua pelle riluceva di riflessi dorati, i suoi occhi erano scuri e intensi, il suo fisico prestante. Non riuscendo a sopportare il dolore per il rifiuto paterno, egli si chiuse in se stesso; il suo aspetto mutò. Scuri tatuaggi ricoprirono il suo corpo e il volto, egli si tramutò, divenendo “The Hog Child”, il ragazzo per metà uomo e per metà cinghiale.
Dopo aver a lungo vagato nei boschi, con impeto distruttivo e con l’animo pieno di amarezza, giunse in un porto, dove vide per la prima volta Pele, Dea del fuoco e del vulcano. Se ne innamorò all’istante, ma la Dea, dal temperamento fiero e irascibile, all’inizio lo respinse. Divennero dapprima nemici e poi finalmente amanti. Grazie all’amore di Pele l’aspetto di Kamapua’a tornò a essere quello splendente di un tempo, ma egli era così carismatico e affascinante che ella, sentendosi minacciata, lo cacciò nuovamente, scatenando potenti eruzioni vulcaniche. Prima di abbandonarla per sempre in quelle terre, credendo Pele morta, Kamapua’a tramutò la roccia lavica in terreno fertile, e con abbondanti piogge spense gli incendi e le salvò. Poi, si trasformò in pesce (oggi simbolo nazionale Hawaiano) e dall’oceano continuò a vegliare sulle isole Hawaii, ignorando che Pele era viva e che ora lo amava, e aveva dato alla luce il loro figlio, la cui discendenza portò grande fortuna alla popolazione.
“Water and fire must rule together”,
dicono ancora oggi nelle isole, dove Pele attende ancora il ritorno di Kamapua’a, che dal mare continua ad assicurare protezione e prosperità.
Questo nome viene da molto lontano, apparteneva a un giovane uomo, destinato a essere un Semidio, protettore dei terreni coltivati, delle cascate e dell’Oceano, da cui regna ancora oggi.
Sua madre, Hina, era la giovane sposa del vecchio capo Olopana; l’uomo, che da sempre viveva nel sospetto del tradimento, alla nascita del figlio lo rinnegò.
Kamapua’a era un ragazzo dalla bellezza disarmante, la sua pelle riluceva di riflessi dorati, i suoi occhi erano scuri e intensi, il suo fisico prestante. Non riuscendo a sopportare il dolore per il rifiuto paterno, egli si chiuse in se stesso; il suo aspetto mutò. Scuri tatuaggi ricoprirono il suo corpo e il volto, egli si tramutò, divenendo “The Hog Child”, il ragazzo per metà uomo e per metà cinghiale.
Dopo aver a lungo vagato nei boschi, con impeto distruttivo e con l’animo pieno di amarezza, giunse in un porto, dove vide per la prima volta Pele, Dea del fuoco e del vulcano. Se ne innamorò all’istante, ma la Dea, dal temperamento fiero e irascibile, all’inizio lo respinse. Divennero dapprima nemici e poi finalmente amanti. Grazie all’amore di Pele l’aspetto di Kamapua’a tornò a essere quello splendente di un tempo, ma egli era così carismatico e affascinante che ella, sentendosi minacciata, lo cacciò nuovamente, scatenando potenti eruzioni vulcaniche. Prima di abbandonarla per sempre in quelle terre, credendo Pele morta, Kamapua’a tramutò la roccia lavica in terreno fertile, e con abbondanti piogge spense gli incendi e le salvò. Poi, si trasformò in pesce (oggi simbolo nazionale Hawaiano) e dall’oceano continuò a vegliare sulle isole Hawaii, ignorando che Pele era viva e che ora lo amava, e aveva dato alla luce il loro figlio, la cui discendenza portò grande fortuna alla popolazione.
“Water and fire must rule together”,
dicono ancora oggi nelle isole, dove Pele attende ancora il ritorno di Kamapua’a, che dal mare continua ad assicurare protezione e prosperità.
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La storia della Canapa
La storia della canapa e quella dell’uomo sono profondamente legate.
Fin dall’antichità era conosciuta e apprezzata come pianta miracolosa.
Il reperto più antico risale all’impero cinese del 4000 a.C.. Presso le più antiche civiltà la cannabis ha rappresentato una fonte insostituibile per la produzione di materie prime, come tessuti, carta, cibo, materiale combustibile, per non parlare della varietà di rimedi medicinali possibili.
La pianta di cannabis è particolarmente resistente, può crescere alle latitudini più disparate, non necessita di diserbanti, né di pesticidi per essere coltivata e cresce più in fretta di quasi tutti gli altri raccolti.
Le due specie più coltivate al mondo sono l’indica e la sativa, una terza specie è la ruderalis che cresce in Asia centrale. Nei fiori e nelle foglie si trovano i composti chimici in varie proporzioni e percentuali, impiegati anche in campo medico, tutto il resto della pianta può essere utilizzata per ricavare centinaia di prodotti utili, senza gettarne via neppure un grammo.
Nel 1941 il costruttore Hanry Ford progettò un’automobile costruita quasi interamente con prodotti vegetali derivati dalla cannabis. Nonostante tutto questo la sua produzione resta proibita in quasi tutto il mondo.
Intorno agli anni 30 la canapa, da sola rappresentava una spina nel fianco per alcune nascenti industrie: quella delle fibre sintetiche, quella del petrolio, quella della carta e quella farmaceutica, quest’ultima determinata all’eliminazione dalla farmacologia di tutte le cure naturali a base di erbe. Con l’appoggio dei banchieri, gli industriali misero in moto la macchina della propaganda: sui giornali si iniziò a parlare degli effetti antisociali generati da un determinato uso della pianta, iniziando a chiamarla Marijuana (il suo nome messicano), per associarla alle minoranze etniche e cavalcare l’onda del razzismo.
Nel 1937 venne approvata la legge che diede inizio alla guerra alla cannabis e che portò lentamente all’eradicazione della coltura, che in pochi anni divenne illegale in tutto il mondo. L’industria del petrolchimico aveva vinto la sua battaglia, e all’umanità toccò il disastro ecologico. Sono molte le indagini scientifiche condotte nel tempo che hanno messo in evidenza le proprietà e i benefici della pianta e ora, dopo quasi 80 anni, un grande riflettore si è acceso di nuovo su di essa.
Che sia possibile realizzare anche il sogno di una moderna chemiurgia, come quella teorizzata negli anni 30, cioè di una produzione industriale ottenuta da materie prime esclusivamente agricole e naturali?
E’ un grande augurio per noi che abitiamo su questo pianeta e abbiamo a cuore le sue sorti.
Il reperto più antico risale all’impero cinese del 4000 a.C.. Presso le più antiche civiltà la cannabis ha rappresentato una fonte insostituibile per la produzione di materie prime, come tessuti, carta, cibo, materiale combustibile, per non parlare della varietà di rimedi medicinali possibili.
La pianta di cannabis è particolarmente resistente, può crescere alle latitudini più disparate, non necessita di diserbanti, né di pesticidi per essere coltivata e cresce più in fretta di quasi tutti gli altri raccolti.
Le due specie più coltivate al mondo sono l’indica e la sativa, una terza specie è la ruderalis che cresce in Asia centrale. Nei fiori e nelle foglie si trovano i composti chimici in varie proporzioni e percentuali, impiegati anche in campo medico, tutto il resto della pianta può essere utilizzata per ricavare centinaia di prodotti utili, senza gettarne via neppure un grammo.
Nel 1941 il costruttore Hanry Ford progettò un’automobile costruita quasi interamente con prodotti vegetali derivati dalla cannabis. Nonostante tutto questo la sua produzione resta proibita in quasi tutto il mondo.
Intorno agli anni 30 la canapa, da sola rappresentava una spina nel fianco per alcune nascenti industrie: quella delle fibre sintetiche, quella del petrolio, quella della carta e quella farmaceutica, quest’ultima determinata all’eliminazione dalla farmacologia di tutte le cure naturali a base di erbe. Con l’appoggio dei banchieri, gli industriali misero in moto la macchina della propaganda: sui giornali si iniziò a parlare degli effetti antisociali generati da un determinato uso della pianta, iniziando a chiamarla Marijuana (il suo nome messicano), per associarla alle minoranze etniche e cavalcare l’onda del razzismo.
Nel 1937 venne approvata la legge che diede inizio alla guerra alla cannabis e che portò lentamente all’eradicazione della coltura, che in pochi anni divenne illegale in tutto il mondo. L’industria del petrolchimico aveva vinto la sua battaglia, e all’umanità toccò il disastro ecologico. Sono molte le indagini scientifiche condotte nel tempo che hanno messo in evidenza le proprietà e i benefici della pianta e ora, dopo quasi 80 anni, un grande riflettore si è acceso di nuovo su di essa.
Che sia possibile realizzare anche il sogno di una moderna chemiurgia, come quella teorizzata negli anni 30, cioè di una produzione industriale ottenuta da materie prime esclusivamente agricole e naturali?
E’ un grande augurio per noi che abitiamo su questo pianeta e abbiamo a cuore le sue sorti.





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